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Riforma dei porti, ancora troppi i ritardi

By Carmelo Pulvino

April 14, 2017

GENOVA. Il ritardo nell’applicazione delle riforma portualeè il segnale che manca «una forte volontà politica» a sostenere il cambiamento e fa temere che la stessa riforma rischi in definitiva di «non essere neppure attuata per quello che promette». L’allarme è lanciato da Francesco Munari, ordinario di diritto dell’Unione europea all’Università di Genova e fra i massimi esperti di diritto marittimo. Il ritardo va ad aggiungersi a quello sulla pubblicazione del decreto attuativo sulle concessioni, «atteso da 23 anni », e rischia di incidere anche sull’applicazione del nuovo regolamento portuale europeo appena entrato in vigore. «La riforma dice Munari è stata un passo avanti, ma siamo molto in ritardo. Non è certo un segnale positivo constatare che a otto mesi dall’entrata in vigore del decreto quasi nessuna Autorità di sistema portuale sia pienamente operativa, e per molte si sta ancora attendendo la nomina dei presidenti, dei componenti del Comitato di gestione, o dei segretari generali. Inoltre, non sempre i comitati di gestione che si stanno formando nei diversi scali sembrano composti da persone in possesso dei requisiti previsti dalla legge. Né è positivo che solo in pochissimi casi si siano realizzati (e comunque per ora più sulla carta che nei fatti) gli accorpamenti delle vecchie Autorità portuali. Prima della riforma si sono perduti due anni con metà dei porti italiani commissariati, adesso è passato quasi un anno e la riforma è ancora alle primissime battute. Certamente è difficile individuare responsabilità individuali o specifiche, ma sicuramente il sistema aveva ed ha bisogno di tutta un’altra velocità e visione sistemica ». Quali problemi sono sorti? «Oltre ai problemi accennati sopra (e non sono banali), in molti casi non è ancora chiara neanche la composizione degli organismi di gestione e dei tavoli di partenariato, a tacere della mancanza tuttora di alcuna reale indicazione su come la conferenza nazionale di coordinamento delle Adsp si muoverà, e di quali linee di indirizzo strategiche verranno sviluppate in tale sede. Nel frattempo le singole Adsp hanno cominciato ad approvare i propri budget e piani di spesa, ognuna per conto proprio. Insomma, la cabina di regia dei porti italiani è tutta ancora da vedere. E in questa situazione anche il coordinamento verticale tra Adsp e altre amministrazioni che esercitano compiti nei porti mi pare men che embrionale ». Il problema è dovuto a come è stata scritta la legge? «No, pur essendo tutto perfettibile, la normativa è per molte parti apprezzabile e promettente, ma richiede un disegno di attuazione molto chiaro e deciso a livello politico. Il nostro sistema è tuttora gravemente incapace di funzionare con la rapidità che ci chiede il mondo esterno. Al di là della buona o buonissima volontà di qualcuno, non si può perdere un anno per decidere chi sarà il presidente o il segretario generale o chi entrerà nel comitato di gestione né fa piacere rendersi conto che, al posto di quello della competenza specifica nella materia, sovente sembra che altri siano i criteri che presiedono le designazioni delle candidature. Sono cattive abitudini politiche che, pur non essendo certo esclusive del settore portuale, rallentano e peggiorano i processi e anche i contenuti concreti di norme dalle quali ben maggiore impulso ci si potrebbe attendere ». La riforma prevede altre novità oltre alla governance, come lo sportello unico doganale, di cui manca il decreto per assegnare le risorse, o lo sportello amministrativo. «Visto il quadro finora descritto, temo che anche tutti gli altri aspetti della riforma, presuppongano che la governance interna alle Adsp cominci a funzionare. Ripeto: su tutta la riforma è lecito oggi sospendere il giudizio. Bisogna aspettare speriamo non troppi mesi per capire come verrà attuata la riforma medesima. Potrebbe anche produrre risultati molto inferiori alle aspettative, e a quel punto lo sforzo del legislatore o meglio del Governo che ha fatto il decreto sarebbe servito a ben poco». Pensa che la riforma possa non essere recepita completamente o che ci possa essere addirittura un ritorno indietro? «Passi indietro penso di no, ma stare fermi è già restare indietro. Sottolineo in particolare l’articolo 11 ter della legge, il quale prevede una conferenza nazionale che deve selezionare le infrastrutture davvero strategiche e dovrebbe farlo secondo determinati criteri omogenei, possibilmente obiettivi, e pensati nel mediolungo periodo. Ad oggi, come ho detto, non abbiamo alcuna indicazione reale su come funzionerà questo tavolo. L’esperto che doveva presiederlo, che com’è noto era Luigi Merlo, ha decisamente cambiato mestiere. Scelta più che legittima, ma se fosse stata dovuta al timore di poter incidere assai meno sui processi e le strategie di quanto la norma prometteva, allora il segnale non sarebbe tranquillante. Speriamo che il vuoto venga colmato presto, con persone autorevoli, competenti, e in grado di compiere scelte importanti con adeguata copertura politica. Nel frattempo sarebbe bene evitare di mettere la conferenza nazionale di fronte a fatti compiuti sul piano degli investimenti, perché perderemmo uno dei punti più qualificanti della riforma ». Il governo non ha riformato la legge 84 in maniera complessiva, ma sta procedendo per tappe successive. Finora sono usciti due provvedimenti su dragaggi e governance, pensa che la prossima tappa sarà il lavoro in banchina? «Sono dell’idea che le norme vanno fatte e vanno applicate, prima di pensare a vararne di nuove. È una pessima abitudine del nostro Paese quella di fare molte leggi e non attuarle, continuando ad adottarne di nuove, le quali rimangono parimenti lettera morta. Personalmente, poi, non vedo esigenze di tipo legislativo a riformare la disciplina del lavoro portuale: servono semmai e ancora una volta provvedimenti caso per caso, o porto per porto, per sanare le situazioni problematiche. Ma il fatto che in alcuni porti, a legislazione vigente, sul lavoro portuale siano state fatte importanti passi avanti (e mi riferisco ad esempio a Trieste), dimostra ancora una volta che le leggi ci sono, e che basta applicarle, senza continuare a creare confusione. Ricordo che in concomitanza c’è anche il nuovo regolamento 352/2016 dell’Unione europea in materia portuale che va applicato. Alcuni aspetti di questo regolamento richiedono atti esecutivi da parte degli Stati membri, e anche per questo è fondamentale il funzionamento della conferenza nazionale di coordinamento delle Adsp , dalla quale potrebbe e dovrebbe anche scaturire la posizione italiana in sede europea sull’attuazione del regolamento». shipping@ilsecoloxix.it