La Fenomenologia dello spirito era stata concepita da Hegel come un’introduzione al suo sistema filosofico, poi essa crebbe nel corso della stesura e assunse una dimensione del tutto autonoma, ma va tenuto presente che Hegel l’aveva concepita come introduzione al sistema. Prima di parlarne è necessario riprendere brevemente le tappe del discorso che portano a quel culmine dell’idealismo che è il pensiero di Hegel. Proprio nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, Hegel afferma in maniera lapidaria, categorica: «Il vero è l’intero». Se applichiamo questa affermazione alla verità filosofica, Hegel vuol dire anche che il suo sistema filosofico costituisce un passo successivo, un completamento rispetto ai precedenti: la verità della filosofia non emerge semplicemente dal sistema hegeliano, ma da tutto l’insieme della storia della filosofia; secondo Hegel, il suo stesso pensiero è vero soltanto nell’interezza, nella completezza dello sviluppo del pensiero occidentale e in particolare dell’idealismo. Per seguire il suggerimento implicito di Hegel dobbiamo riprendere il discorso sull’interezza dell’idealismo tedesco. L’idealismo aveva superato il criticismo kantiano, che era debole dal punto di vista teoretico per il fatto di essere un sistema dualista, in quanto scindeva il fenomeno dal noumeno, e soprattutto, per la mentalità idealistico-romantica, Kant aveva il difetto di aspirare semplicemente alla conoscenza del finito, del fenomeno, senza lo slancio, tipico della civiltà romantica, a cogliere l’infinito, l’assoluto. Fichte, Schelling e Hegel, hanno invece la pretesa prometeica di cogliere la struttura dell’infinito, e di non limitarsi kantianamente al finito. Il primo tentativo è stato quello di Fichte. Questi ha compiuto un passo in avanti enorme rispetto a Kant in quanto ha abolito la cosa in sé, e, rompendo le barriere tra fenomeno e cosa in sé, ha avviato l’unificazione della realtà intorno al concetto di Io puro, ovvero di assoluto, ma Hegel lo accusa di “cattiva infinità”: l’infinito di Fichte continua a rimanere staccato dal finito. La storia umana avanza continuamente verso l’assoluto, verso l’Io puro, verso la libertà, ma non li raggiunge mai, c’è sempre qualche ostacolo del non-io che si frappone ancora. Di conseguenza l’infinito, l’assoluto, stanno sempre a una certa distanza dal finito, dall’uomo, dall’umanità e dalla storia: fra la storia e l’assoluto, fra l’uomo e l’assoluto, fra il finito e l’infinito, c’è sempre per Fichte ancora una certa distanza. Per questo Hegel lo rimprovera di restare nonostante tutto ancora all’interno di una mentalità illuministica. L’Illuminismo aveva condannato la storia dal punto di vista della ragione. Hegel dice in sostanza: Fichte ha compiuto un grande passo in avanti rispetto a Kant, ma in effetti ha posto la ragione, l’infinito, l’assoluto, da una parte e il finito, la storia, l’uomo, dall’altra parte.
Un altro passo in avanti l’aveva compiuto Schelling, che sosteneva la compresenza di io e non-io all’interno dell’assoluto, quindi aboliva la distanza che permaneva in Fichte. L’assoluto di Schelling è un assoluto che vede tutti e due gli elementi, il finito e l’infinito, lo spirito e la materia, l’io e il non-io, sempre compresenti. Per questo motivo il giovane Hegel appoggia Schelling contro Fichte. Uno dei primi scritti di stretto carattere filosofico di Hegel, del 1801, è il saggio sulla Differenza fra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling: in questa presa di posizione egli propende per Schelling in quanto ha unificato i due elementi ancora in parte scissi in Fichte. Ma proprio la Fenomenologia dello spirito segna il momento in cui Hegel prende le distanze anche da Schelling, rimproverandolo di aver avuto una visione dell’assoluto quale «una notte in cui tutte le vacche sono nere», come dice con ironia. Che cosa gli vuol rimproverare? Se l’assoluto è unità indifferenziata di io e non-io, di finito e infinito, ne consegue che non c’è nessun principio che permetta di capire come dall’assoluto si passi alla dinamica del molteplice, del plurale, dei regni della natura: la concezione dell’assoluto di Schelling è una concezione statica, in cui c’è una mescolanza che, proprio per essere una mescolanza perfetta, non lascia poi capire per quale motivo da essa si debba passare a tutto il travaglio della natura in cui si differenziano tanti enti, tanti individui l’uno diverso dall’altro. Nella natura prevale dapprima il non-io sull’io e poi, progressivamente, nelle forme più mature, si capovolge il rapporto, ma questo dinamismo non è spiegato da un assoluto statico come quello che Schelling pone all’inizio del suo sistema.
A questa visione schellinghiana Hegel muove un’obiezione fondamentale: essa è una visione puntuale del- l’assoluto, l’assoluto è una sorta di punto di indistinzione in cui si intrecciano strettamente io e non-io; l’errore di Schelling è stato proprio quello di aver visto l’assoluto come puntuale e come statico, come sostanza alla maniera di Spinoza. Hegel afferma invece nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, che l’assoluto non è sostanza, bensí è soggetto. Quest’affermazione ha un significato fondamentale: l’assoluto è dinamico, è in movimento come un soggetto, non è fermo come una sostanza inerte. Schelling invece lo ha concepito come sostanza, quindi come statico, inerte e puntuale. Qual è stata la conseguenza di questo errore di Schelling? Egli ha dovuto sostenere che la conoscenza dell’assoluto è possibile in base a un’intuizione molto simile all’intuizione estetica. Abbiamo detto che per Schelling l’arte è l’organo della filosofia: c’è qualche cosa di superiore al pensiero, c’è qualche cosa che sta più in alto della filosofia, ed è la sfera estetica. Per quale motivo? Perché la realtà suprema è l’assoluto, e l’assoluto si può cogliere con un atto in fin dei conti irrazionale, di intuizione, molto simile a quello con cui si intuisce la bellezza in un’opera d’arte. Con questa caratterizzazione dell’assoluto, Schelling è caduto nell’irrazionalismo. Da qui bisogna partire per capire la visione molto diversa di Hegel.